Omelia per la IV Domenica di Quaresima
Cattedrale di Cagliari, 22 marzo 2020
1Sam 16,1b.4.6-7.10-13
Sal 22 (23)
Ef 5,8-14
Gv 9,1-41
1. L’incontro con il cieco nato provoca nei discepoli di Gesù un dibattito di natura teologica sulla causa del suo male e la colpa sua o dei genitori. Dopo il miracolo, anche i farisei discutono circa l’accaduto. Dibattiti, opinioni, confronti che tentano di imprigionare il mistero, di addomesticarlo catturandolo dentro le proprie categorie e i nessi consueti di causa ed effetto. Il male è prodotto da quale colpa e di chi? E la guarigione a cosa è dovuta? In verità, il mistero del male e del bene non può essere in alcuno modo costretto o addomesticato. Gesù non si lascia catturare da queste discussioni, va dal cieco e lo guarisce. Mentre gli altri discutono e teorizzano, Gesù mostra la sua pietà per quell’uomo avvicinandolo, toccandolo e guarendo la sua cecità; e così (di)mostra sé stesso come pietà per l’uomo, misericordia di Dio per l’uomo, per il singolo uomo, l’uomo concreto del quale conosciamo padre e madre e qualche vicenda. Come Dio ama ciascuno di noi e con quanta pietà si accosta a noi e ci guarisce!
Gesù guarisce quell’uomo dalla cecità per donargli la grazia e la gioia più grande: vedere il volto di Dio: è Gesù il volto misericordioso di Dio! Questa è l’aspirazione più profonda dell’uomo che si realizza per grazia. «Il mio cuore ripete il tuo invito: // “Cercate il mio volto!”. // Il tuo volto, Signore, io cerco. // Non nascondermi il tuo volto» (Sal 27). Ma l’uomo non ha il potere di ottenere quanto desidera, di vedere il volto di Dio e così è Dio che svela sé stesso: «È suo dono lasciarsi vedere dai suoi fedeli» (Cassiodoro). Abbiamo bisogno di questo dono, di vedere il volto di Dio, perché altrimenti cosa potremmo dire all’uomo che soffre e che muore? Se non conosciamo il mistero di Dio come potremo far compagnia all’uomo?
Anche noi vogliamo vedere Dio, perché la fede, come afferma lo Stesso Gesù nel dialogo successivo, è vedere la presenza di Dio in Cristo e ascoltarne la voce: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
2. Scopriamo il volto di Dio come presenza che ci accompagna. «Anche se vado per una valle oscura, // non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23). Stiamo attraversando la valle oscura della sofferenza e della morte, della paura e dell’incertezza. Un’oscurità che ci rende ciechi. Vi sono racconti che segnano questi giorni, come quelli della morte nelle corsie degli ospedali, e immagini che non dimenticheremo, come quella del corteo di camion dell’esercito che portano via da Bergamo le salme di chi non può essere tumulato in quel cimitero. Come possiamo attraversare tutto questo senza smarrirci? Da dove la sicurezza necessaria per vivere, resistere e ricostruire? Attraversiamo questa valle oscura e sentiamo le parole di Gesù: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?». È il momento di ridire la nostra fede nel Signore Risorto: Dio non abbandona i suoi figli e li soccorre, la misericordia e la vita sono l’ultima parola sull’uomo, coloro che muoiono non cadono nel nulla ma nelle mani fedeli di un Dio che chiama a sé i suoi figli. «Tu credi?». Crediamo, Signore, che tu sei misericordia più grande della morte e presenza che vince ogni paura e minaccia di male. Occorre che questa fede venga di nuovo annunciata e testimoniata: la vita è un bene al di là di ogni possibile minaccia fisica. È la fede nella resurrezione: Tu sei con me, Tu sei la mia sicurezza. Possiamo attraversare la valle di questi giorni senza lasciandoci prendere dal panico ma nella sicurezza della presenza di Dio, nella certezza di un Amore che si mostra più forte di ogni paura e della morte stessa.
3. La fede allora è scorgere tra le pieghe della nostra storia questa Presenza amorosa che ci guarda e sta con noi. La fede ci fa riconoscere Cristo nella pietà con cui i medici e gli infermieri trattano i malati e nella carità con la quale veniamo incontro ai bisogni dei nostri fratelli più fragili nella certezza che così «visitiamo Cristo, curiamo Cristo, alimentiamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo» (San Gregorio Nazianzeno): Cristo è nella persona che ha bisogno e nella carità degli uomini che se ne prendono cura.
Dio svela il suo volto perché impariamo a riconoscere il nostro vero volto. Stiamo imparando forse ad amare di più la vita, alla cui tutela e protezione può essere sacrificata qualche nostra libertà. Abbiamo spesso pensato che la felicita consista nella libertà di fare quello che si vuole e stiamo imparando che qualche nostra libertà può essere sacrificata per permettere, a noi stessi e agli altri, di godere della libertà di vivere! Stiamo imparando che la libertà è responsabilità verso gli altri e verso la società intera. Stiamo forse imparando, in questa costretta inattività, a trattarci non per quello che possiamo fare e per la bontà delle iniziative che siamo in grado di realizzare, ma per ciò che siamo, per la grandezza iscritta nel nostro esserci; forse impariamo, costretti come siamo a stare gli uni accanto agli altri, a guardarci con gli occhi di Dio per il quale «non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». In questi momenti non abbiamo pudore a svelare al prossimo il cuore: non potendo parlare del lavoro o dello sport, parliamo di noi stessi, della nostra più profonda intimità; togliamoci le maschere che troppe volte celano il nostro stesso volto. Non è il consenso degli altri a farci grandi, siamo grandi perché voluti e amati da un Dio che ci chiama alla vita. «La grandezza dell’uomo, la sua gloria e maestà, consistono nel conoscere ciò che è veramente grande, nell’attaccarci ad esso» (San Basilio Magno). Per questo il Signore apre i nostri occhi e ci permette di riconoscerlo.