Al termine della celebrazione di ordinazione episcopale, monsignor Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari, ha rivolto ai presenti le seguenti parole:
Carissimi amici e confratelli,
Tutta la liturgia di oggi esprime la gioia della Chiesa che si prostra in adorazione di Cristo luce del mondo, salvezza per tutti i popoli. A Lui va il nostro pensiero grato e lieto: Egli non abbandona mai il suo gregge e lo conduce nella storia attraverso coloro che costituisce pastori, riempiendo il cuore di chi lo incontra di una gioia senza limite.
Esprimo la mia gratitudine al Santo Padre per avermi chiamato con l’episcopato ad una maggiore conformazione al Signore Gesù, per rendere presente e indicare a tutti la Sua opera di Buon Pastore. È lui l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene (cf. Ap. 1,8). In Lui tutte le creature di Dio trovano «un luogo comune dove manifestare la loro amicizia e la loro pace» (San Massimo il Confessore). Non abbiamo davvero altra parola da dire agli uomini.
Possiamo facilmente immaginare che a Betlemme, nell’atto dell’adorazione, i magi abbiano pensato con gratitudine alla strada fatta, alle circostanze vissute e alle persone incontrate. A mia volta ripenso con gratitudine agli avvenimenti e agli incontri decisivi della vita, perché Cristo, Signore e giudice della storia, viene incontro a noi «in ogni uomo e in ogni tempo» (Prefazio dell’Avvento). Il cammino verso la «felice amicizia» con Cristo è allora il cammino che segue le tracce di bontà e verità che ogni autentico incontro lascia nella nostra vita. S.E. Mons. Domenico Picchinenna, il primo a prendere decisioni circa il mio cammino vocazionale, e che era dotato di una straordinaria capacità di memoria, alla fine della vita confidava che il ricordo del passato serve a dire «Dio è grande, Dio solo è grande».
Il «sì, lo voglio» che oggi la Chiesa mi ha fatto ripetere comprende in sé tanta storia, tanti fatti e persone. Sono grato a quanti, in questi giorni di gioia e trepidazione, hanno manifestato la loro vicinanza nella preghiera e nell’affetto.
Il grazie più vivo a mio papà Salvatore e a mia mamma Francesca, che crediamo stia partecipando a questo momento attraverso gli occhi di Dio. Mi hanno comunicato una fede semplice e forte, fatta di passione, impegno e carità. Con loro ringrazio ciascuno dei miei fratelli e sorelle, primi compagni di vita, e le loro famiglie. Come in un prisma, ciascuno di essi è come un riflesso peculiare del mistero di Dio.
Se è vero – come affermava San Giovanni Paolo II – che «il Vescovo diventa “padre” proprio perché pienamente “figlio” della Chiesa», il mio pensiero va alla Chiesa di Catania che mi ha generato alla fede e che oggi è presente nel segno di tanti amici sacerdoti e laici. E soprattutto nella persona di S.E. Mons. Salvatore Gristina, che ringrazio per la fiducia avuta e la confidenza con cui mi trattato. Si può essere in pace – ripete spesso – anche nelle difficoltà, solo nella certezza di essere stati chiamati. È viva la gratitudine per S.E. Mons. Luigi Bommarito, che mi ha ordinato presbitero e che poi, chiamandomi in Curia, mi esortava a lavorare «senza sosta e senza fretta» per fare la Chiesa più bella.
Tra i sacerdoti che hanno influito nella mia educazione, vorrei ricordare Mons. Francesco Ventorino, padre maestro amico, che mi ha introdotto al carisma di don Giussani e guidato nel cammino al sacerdozio. Tutti coloro che hanno segnato la mia formazione sono ben presenti ora nella mia coscienza.
Custodisco in modo particolare le esperienze ecclesiali che più mi hanno segnato (Movimento di CL, Parrocchia di Valcorrente, Studio Teologico San Paolo, Scuola cattolica Sant’Orsola), nelle quali ho imparato che realmente Dio «parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2). Non c’è strada migliore e più sicura di questa parola di amicizia e comunione.
A servizio della Curia di Catania ho imparato l’importanza del lavoro concreto, quotidiano, nascosto per la Chiesa. Niente è banale, neanche le cose piccole, se lo scopo è grande e l’amore sincero. Molti di quei compagni di servizio sono qui presenti.
La CEI è stata davvero una grande scuola che ha dilatato la mente e il cuore, introducendomi alla conoscenza della Chiesa in Italia e alle tante espressioni della sua ricchezza. Ringrazio sinceramente tutti gli amici – molti dei quali presenti – partecipi di una così originale comunità di servizio e vita, insieme alle suore Oblate di Casa Assistenti. Il pensiero naturalmente corre ai vescovi Segretari generali, Mons. Mariano Crociata, che mi ha chiamato alla CEI, Mons. Nunzio Galantino, con il quale sono divenuto sottosegretario e Mons. Stefano Russo, per l’affetto e l’antica amicizia, e ai Presidenti della CEI, S.Em. Card. Angelo Bagnasco e S.Em. Card. Gualtiero Bassetti, il cui affetto paterno trova nell’ordinazione di oggi un’espressione singolare e per me definitiva.
La mia gratitudine a S.E. Mons. Arrigo Miglio, che dal 2012 guida con generosa paternità questa Chiesa, e a tutti i Vescovi presenti, segno grande di comunione episcopale.
Grazie, infine, a chi ha preparato questa celebrazione e ai padri Mercedari che mi hanno ospitato in questi giorni di preparazione prossima.
Alla nostra cara Chiesa di Cagliari ripeto il saluto benedicente di San Paolo a Timoteo, che ho scelto come motto del mio episcopato: «grazia, misericordia e pace». Dalla misericordia di Gesù – che è Gesù – sgorgano la grazia e la pace. «Tre nomi per i beni indicibili che si effondono dalla Trinità» (Hans Urs Von Balthasar). Questi sono i doni che vogliamo offrire a tutti e testimoniare con la nostra stessa vita e per i quali la Chiesa, come madre amorosa, cerca e accompagna ogni uomo in un abbraccio senza condizione e misura.
I Magi, una volta prostrati in adorazione, aprirono i loro scrigni e offrirono al bambino divino in dono oro, incenso e mirra. Spiegava San Leone Magno che «perché manifestino il mistero che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il cuore». Il dono della vita, tutta consegnata al ministero pastorale, esprime e invera quel che si crede con il cuore. Non posso oggi che ripartire da quel che il cuore crede. Quando divenni presbitero scelsi per l’immaginetta-ricordo una frase del Salmo 52: «Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre». Rinnovo oggi questo abbandono, questa fiduciosa consegna alla fedele misericordia di Dio, che sempre custodisce, protegge e guida il suo popolo, perché la mia vita corrisponda alla missione di paternità che mi è stata affidata.
Confido nella vostra preghiera e aiuto, e nello sguardo materno di «Maria, Madre di Cristo, luce del mondo!». Mi doni la gioia della presenza del Figlio suo e il gusto del bene.
E i sa gràtzia nos donet in vida e in sa morte.
Ei sa dìciosa sorte in Paradisu.