Domenica 24 novembre 2013 alle ore 17.00, nella cattedrale di Cagliari, si è tenuta la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo, mons. Arrigo Miglio, in occasione della festa di Cristo Re e della conclusione dell’Anno della fede. In questa circostanza è stato celebrato il mandato diocesano agli operatori pastorali dei diversi ambiti di azione ecclesiale.
Nell’occasione il Vescovo ha fatto dono a tutti i presenti dell’enciclica Lumen Fidei del Santo Padre Francesco.
In questa stessa occasione la comunità diocesana ha pregato per le vittime e le popolazioni colpite dall’alluvione che ha attraversato la nostra Isola.
OMELIA DELL’ARCIVESCOVO
A conclusione dell’Anno della Fede è giusto che facciamo, soprattutto come Chiesa diocesana, una verifica, ma è giusto anche che riceviamo una consegna, una missione: la conclusione dell’Anno della Fede ci chiede di accogliere una missione per ripartire arricchiti dalle esperienze che abbiamo vissuto quest’anno.
Ecco allora, nella nostra verifica, una prima domanda.
In quale Dio crediamo?
Le letture della Festa di Cristo Re ci mettono nella direzione giusta: la nostra fede cristiana significa credere nel Dio di Gesù Cristo, nel volto di Dio che Gesù ci ha rivelato; credere che la strada che conduce a Dio è Gesù, Via, Verità e Vita. Siamo molto lontani da un “teismo generico” o da uno “spiritualismo indefinito”. Noi non crediamo in un essere supremo o in una divinità o in un assoluto: sono tanti oggi che hanno questa dimensione religiosa e la vivono a modo loro. Il Dio in cui noi crediamo ha il volto di Gesù di Nazareth. Noi incontriamo il volto di Dio, e arriviamo fino a Lui, passando attraverso la persona di Gesù. Passare attraverso la persona di Gesù significa accogliere pienamente tutta la sua umanità, perché attraverso di essa giunge a noi la presenza di Dio. Significa accogliere, conoscere, assimilare tutta la storia di Gesù di Nazareth, compreso il Davide che abbiamo incontrato nella prima lettura, compreso tutto il cammino dell’antico popolo d’Israele, comprese tutte le Scritture. Credere nel Dio di Gesù Cristo e non in un Dio generico, significa entrare a far parte del corpo di Gesù di Nazareth, presente nelle tante membra che formano la Chiesa, un corpo pienamente presente nel sacramento dell’Eucaristia. Dunque non è così scontato che la nostra fede in Dio sia fede nel Dio di Gesù Cristo. Per dirla con Pascal, “nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non nel Dio dei filosofi”. Questa prima importante domanda deve continuare ad accompagnarci anche dopo la conclusione dell’Anno della Fede. È una domanda che ci interroga circa la nostra conoscenza della storia di Gesù, circa la nostra accoglienza piena e totale del Corpo del Signore Gesù. L’impegno concreto per crescere nella Fede nel Dio di Gesù Cristo è il nostro incontro con le Sacre Scritture. Anche le Scritture sono Corpo di Cristo, ci ricorda il Concilio nella Dei Verbum. La Sacra Scrittura: lì c’è la storia che ha portato a Gesù, e da Gesù è ripartita. Lì c’è tutta la vicenda del primo popolo eletto e l’inizio del nuovo popolo eletto, del Corpo di Cristo di cui facciamo parte anche noi. Conoscere tutte le Scritture. Non solo il Nuovo Testamento, ma anche l’Antico, fino a scoprire che soltanto una buona conoscenza dell’Antico Testamento ci aiuta a capire davvero i Vangeli e tutto il Nuovo Testamento. Non si tratta di fare soltanto corsi biblici. Anche quelli servono. Si tratta, in ogni attività, di mettere al centro l’ascolto della Parola di Dio. L’attenzione alle Scritture significa anche l’attenzione alla proclamazione delle Scritture, che non sono un dettaglio, un particolare delle nostre liturgie, ma sono un momento altrettanto centrale, come quello della Eucaristia.
La seconda domanda.
Quale Chiesa noi crediamo?
La vera appartenenza a tutta la Chiesa, una, santa cattolica e apostolica, concretamente si realizza vivendo in pieno la vita della Chiesa particolare: la Diocesi. In questo senso erano importanti e sono stati belli i pellegrinaggi a questa chiesa Cattedrale durante l’Anno della Fede: volevano ricordarci che l’appartenenza alla Chiesa o passa concretamente attraverso la vita della Chiesa diocesana oppure diventa un’astrazione, un’appartenenza virtuale. Il Signore ci chiede di appartenere ad una Chiesa reale, concreta, fatta di carne ed ossa, di facce di uomini e di donne, quelli che il Signore ci ha messi intorno e che non ci siamo scelti noi. Questo vuol dire credere e vivere la Chiesa attraverso la Chiesa particolare, andare oltre alcuni limiti, oltre la mia fede individuale: il Signore ci ha chiamati non a vivere ciascuno con il suo dio, ma ci chiama ad essere icona del Dio Trinità. Nessuno di noi da solo può diventare l’icona dell’Amore di Dio, ma soltanto in una comunità. Anzitutto la famiglia, chiamata ad essere questa icona; poi tutta la comunità cristiana, in modo particolare grazie al ministero delle famiglie. Oltre la mia fede individuale, oltre la mia parrocchia o il mio gruppo o la mia associazione, il mio movimento. La Diocesi diventa il vero banco di prova del nostro inserimento nella Chiesa universale. La Diocesi certo vuol dire la chiesa Cattedrale, ma anche tutte le attività diocesane nelle loro articolazioni. Il mandato che consegniamo questa sera ad alcuni rappresentanti delle attività pastorali significa proprio questo.
La terza domanda.
Visti gli sviluppi e le sorprese di questo Anno della Fede, c’è anche una terza domanda che non possiamo eludere in questo momento: quale Papa? la domanda ci sta, soprattutto con un Papa come Francesco, un po’ imprevisto, che sta chiamandoci ogni giorno a rinnovarci, soprattutto noi che abbiamo avuto la grazia di accogliere uno dei suoi primi pellegrinaggi in Italia. Dobbiamo metterci di fronte a questa domanda: siamo disponibili a diventare quella Chiesa che lui sta cercando di delineare, di farci capire? Fino a che punto siamo disponibili ad accogliere le sue prospettive, ad andare in profondità per cogliere l’essenziale che lui cerca di dirci, compreso tutto il messaggio che ha lasciato qui a Cagliari; messaggio che ha colpito tanta gente, anche fuori, in Italia e anche all’estero? Noi abbiamo la responsabilità di raccogliere questo messaggio, di metterlo a frutto, di tenerlo vivo. Non ci capiti come al servo che ha ricevuto un talento, lo ha messo sotto terra, lo ha tenuto lì nel libro dei ricordi, le fotografie, i filmini: il Papa non è venuto a Cagliari perché arricchissimo l’album dei ricordi di famiglia.
All’inizio dell’Anno della Fede, negli orientamenti pastorali dello scorso anno, avevo puntato l’attenzione su tre figure bibliche: Pietro, Maria, Abramo. Pietro l’abbiamo avuto in casa: mai avremmo immaginato che Pietro sarebbe venuto a trovarci durante quest’anno della Fede. È venuto per portarci ai piedi di Maria, al Santuario di Bonaria. E Abramo? Forse comincia adesso il suo lavoro:Abramo ci ricorda che per poter vivere veramente i frutti dell’anno della Fede dobbiamo non fermarci, non sederci, ma rimetterci in strada e mantenerci disponibili alle indicazioni dello Spirito, che ci ripete: Esci dalla tua terra e va’ verso un paese nuovo, le nuove generazioni, che attendono la Parola del Dio fedele, che non delude mai.