Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato di Sua Santità, nella mattina di sabato 15 dicembre si è recato a Portovesme per portare la benedizione e l’incoraggiamento del Papa Benedetto XVI a tutti coloro che, nel Sulcis e nell’intera Sardegna, vivono il dramma della mancanza di lavoro e sono maggiormente esposti alle conseguenze della profonda crisi economica di queti ultimi anni.
I due interventi del Cardinale (uno nella cerimonia di accoglienza e l’altro nell’omelia della Messa) sono stati un vero messaggio di speranza, accolto positivamente da tutti i presenti e in particolare dai lavoratori e, ancor di più, dai disoccupati.
Riportiamo il testo integrale degli interventi.
1) Discorso nella cerimonia di benvenuto
Eccellenze,
illustri Signori e Signore,
cari amici,
Ho accettato molto volentieri l’invito a venire oggi in mezzo a voi, per manifestare la particolare vicinanza del Santo Padre al mondo del lavoro in questo momento di crisi economica. E in particolare la sua vicinanza a questo territorio, di cui conosce i problemi. Il periodo natalizio poi ci rende ancora più attenti alla trepidazione di tante famiglie.
Quello che diamo oggi qui a Portovesme è un segno di speranza. Benedire e inaugurare nuovi impianti produttivi costituisce infatti un passo incoraggiante per la proprietà, per la dirigenza e per tutte le maestranze. Un segno che vuole essere di buon auspicio per tante realtà lavorative, perché si sappiano trasformare e rinnovare, e possano offrire lavoro a tutti. Lo meritano questo territorio e questa popolazione, che sa essere dignitosa e civile anche nelle crisi più acute.
La Dottrina sociale cattolica non offre ricette, ma sicuramente offre validi criteri etici e un metodo per affrontare i problemi. Indica la via della giustizia nella solidarietà – come dimenticare il magistero del beato Giovanni Paolo II, così carico di coinvolgimento personale? La Dottrina sociale tiene nella massima considerazione il lavoro umano, e lo ribadisce con forza il Santo Padre Benedetto XVI nel Messaggio, appena pubblicato, per la prossima Giornata Mondiale della Pace.
In particolare, il lavoro rimane l’impegno prioritario per l’Italia. Oggi le condizioni per il lavoro sono particolarmente difficili, e questo rende ancora più importante la formazione professionale dei giovani, una formazione adeguata, che permetta loro di compiere le scelte della vita lavorativa e familiare. E’ stata questa l’intuizione di molti Santi educatori, come Don Bosco, Don Orione, Don Leonardo Murialdo, e altri. Investire sulla formazione professionale dei giovani significa investire per il futuro di una regione. Molti giovani in Sardegna non vedono altra possibilità se non l’emigrazione, impoverendo ancora di più questa Regione, che negli ultimi anni ha il più basso tasso di natalità.
Occorre creare le condizioni che favoriscano investimenti produttivi e nuove progettazioni. Questo territorio, ricco di cultura industriale e di tradizione mineraria, oggi attende di poter usufruire di nuove possibilità, che valorizzino il passato attraverso le opportune riconversioni e potenzino le ricchezze naturali e ambientali per unire salvaguardia del creato e opportunità economiche.
Esprimo vivo apprezzamento alla Chiesa diocesana iglesiente, che da sempre è vicina a questi problemi; e all’intera Chiesa in Sardegna, che continuerà ad alimentare la speranza, incoraggiando la ricerca e l’impegno sociale, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa.
Vi ringrazio per la vostra accoglienza. E ora nella Santa Messa rendiamo insieme grazie a Dio, che sempre aiuta quanti con tenacia cercano il suo Regno e la sua giustizia.
2) Omelia nella Santa Messa
Cari Confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
distinte Autorità, illustri Signori,
cari fratelli e sorelle!
Siamo convenuti nel luogo insolito di uno stabilimento industriale per la celebrazione dell’Eucaristia. Non siamo in una chiesa di pietre, ma in una chiesa altrettanto bella, fatta di persone, di lavoratori con le loro famiglie, cioè la chiesa vivente di cuori credenti. Ringrazio per il cortese invito che mi è stato rivolto di inaugurare oggi i nuovi impianti di produzione dello zinco. Tale inaugurazione ha una valenza religiosa, ma al contempo sociale e civile. Saluto cordialmente tutti i presenti, in particolare i Pastori della Chiesa in questa terra, le Autorità civili e i responsabili della società Glencore. Sono lieto di assicurare la vicinanza spirituale del Santo Padre Benedetto XVI, che a tutti imparte la Sua Benedizione, in particolare agli operai e alle loro famiglie.
Le Letture che abbiamo ascoltato sono quelle della Terza domenica di Avvento. La terza tappa del tempo di preparazione al Natale assume, nella tradizione liturgica romana, una connotazione festosa, difatti è detta la domenica Gaudete, che significa “gioite”, in ragione della venuta del Figlio di Dio. Ma che cosa ci dà gioia? Che cosa realmente ci dà felicità? Il Signore, che riempie di senso la nostra vita, o quanto di effimero la vita terrena ci offre? Per rispondere da credenti a queste domande propongo tre spunti di riflessione, attingendoli della Liturgia della Parola ora proclamata: la gioia, la speranza e la carità.
a. Il cristiano è l’uomo della gioia. Non avrebbe senso un cristiano triste. Il motivo di questa letizia è Cristo stesso, che con la sua venuta ci ha redenti una volta per sempre. Sia la prima Lettura, tratta dal Libro di Sofonia, sia la seconda, desunta dall’ultimo capitolo della Lettera dell’Apostolo Paolo ai Filippesi, ci ricordano questo invito a rallegrarci e a gioire. «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste» (Fil 4,4.6). San Giovanni Crisostomo spiega il senso della letizia cristiana con queste parole: «Che cosa ti manca? Sei divenuto immortale, sei divenuto libero, sei divenuto figlio, sei divenuto giusto, sei divenuto fratello, sei divenuto coerede, con Cristo regni, con Cristo sei glorificato. Tutto ci è stato donato […]: che cosa ti manca?» (PG 62,11).
Se fossimo davvero convinti di queste parole non saremmo mai tristi – preoccupati sì, ma non tristi – nemmeno in tempo di crisi economica, come quello che stiamo vivendo. La radice infatti di tale sfiducia è nella mancanza di orizzonti etici e di ideali condivisi che in realtà solo la fede è in grado di donare agli uomini.
Anche il profeta Sofonia invitava il popolo d’Israele a rallegrarsi, perché nonostante la piccolezza, la debolezza e la povertà di quel popolo rispetto alle grandi potenze dell’epoca, la certezza che «Re d’Israele è il Signore!» (Sof 3,15) doveva comunque riempire il cuore di gioia. La liturgia estende oggi il medesimo invito a quanti si sentono nella condizione del resto di Israele, poveri e deboli: gli ammalati, i disoccupati, gli emarginati, gli immigrati, gli anziani, i poveri e quanti vivono da soli. Non c’è messaggio più gioioso che ripetere la certezza del profeta: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).
b. La seconda parola, forse la più importante oggi per voi, è speranza. La speranza è una virtù che vive una decadenza nei periodi di crisi, di passaggio, in cui si riformulano gli orizzonti di valore. Occorre che ogni nuova sintesi che la società può offrire sia non soltanto nuova, ma più autorevole nella salvaguardia della dignità di ogni persona umana. Non mancano segni di ripresa e di coraggio. L’inaugurazione di nuove possibilità di lavoro quest’oggi ne è la prova più evidente. La Chiesa è sempre attenta ai segni dei tempi. Ce lo ha insegnato il Signore Gesù. La Chiesa è chiamata a discernere e a proporre un cammino di speranza, sia a livello locale sia universale. Tale itinerario mira a suscitare una maggiore consapevolezza e responsabilità della comunità ecclesiale riguardo ai problemi politici, sociali ed economici di ogni territorio per intravedere possibili percorsi, promuovendo una cultura economica ed imprenditoriale che renda sempre onore alla dignità dei lavoratori e riallacciando rapporti attraverso il metodo della collaborazione e del dialogo.
Una società aperta alla speranza è una società che non è chiusa in se stessa, nella difesa degli interessi di pochi, ma che si apre alla prospettiva del bene comune. Infatti, come insegna la dottrina cattolica, «la persona non può trovare compimento solo in se stessa, e prescindere dal suo essere ‘con’ e ‘per’ gli altri» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 165). Per rianimare la speranza invito tutti i credenti ad un rinnovato senso di responsabilità, soprattutto quando sono impegnati nella sfera sociale e politica. Faccio mie le parole del Servo di Dio Papa Paolo VI: «Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche; queste parole non avranno un peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva» (Enc. Octogesima adveniens, 48).
Il brano del Vangelo di oggi ci presenta la figura di Giovanni Battista nella sua duplice veste di uomo di Dio e uomo attento al sociale. Infatti nel testo odierno lo vediamo in dialogo con la gente. Tre categorie di persone pongono al profeta la stessa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?», interrogativo che compare più volte nel Vangelo di Luca. Questa domanda è quella iniziale di ogni etica, perché la coscienza morale, prima che la persona compia un’azione, valuta la bontà o la malizia della stessa. Le tre categorie di persone sono la folla, i pubblicani e i soldati. Esse non sono scelte a caso. La folla incarna la gente normale che spassionatamente chiede al Battezzatore come fare per agire bene, in sintonia con la volontà di Dio. «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3,11). La risposta è un invito a saper condividere con chi è nel bisogno con magnanimità. I pubblicani invece rappresentano la categoria dei benestanti, in quanto questo gruppo di persone aveva l’appalto delle tasse per conto dei governanti romani. A questi, che correvano il pericolo di fare del denaro il criterio ultimo della loro vita, il Battista risponde: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13), cioè non approfittate del vostro ruolo a discapito di chi non ha, e quanto avete in più non serva a dividervi dagli altri, bensì a condividerlo con loro. Il terzo gruppo infine sono i soldati, quelli che con le armi fanno rispettare l’ordine stabilito dai potenti. Dopo il criterio dato a quanti possono cedere alla logica del denaro, Giovanni ammonisce anche chi si potrebbe sottomettere al criterio della forza: «Non maltrattate e non estorcete nulla a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,14).
Dopo aver offerto ai presenti questi tre criteri morali, Giovanni invita all’umiltà che è la porta della speranza. Se tutto dipende da noi, che cosa possiamo infatti sperare? Solo la persona umile sa sperare, concedendo a Dio di agire nella vita personale e sociale. L’immergersi nell’acqua attraverso il Battesimo che Giovanni amministrava lungo il fiume Giordano era utile proprio a questo scopo: accettando la propria umanità, il proprio limite, le proprie fragilità, si spalancano le porte a Dio, autore della speranza, di cui ci fa sempre dono.
c. Infine, sottolineiamo la centralità della carità cristiana in ogni ambito della nostra esistenza. Il tempo dell’Avvento, che ci prepara al Natale, pone sempre in evidenza la carità, soprattutto come virtù fondamentale per cooperare all’edificazione del Regno di Dio.
Come si coniuga la carità con il lavoro e con le esigenze della giustizia? I contenuti espressi dalla dottrina sociale della Chiesa permettono il riconoscimento dei valori, motivano l’azione, distinguono i mezzi dai fini, prospettano una visione integrale dello sviluppo, promuovono scelte di giustizia che favoriscano il vero bene dell’uomo. Nel contesto pluralistico odierno, fare riferimento a un patrimonio di valori crea le condizioni per evitare errori dalle conseguenze nefaste sui lavoratori, sullo sviluppo economico e sulla stessa vita della società. «La dottrina sociale della Chiesa – afferma Sua Santità Benedetto XVI – ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla concezione dell’uomo «ad immagine di Dio» (Gen 1,27), un dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali. Un’etica economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni» (Enc. Caritas in veritate, 45).
Oggi è necessaria «una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo» (ibid., 32).
Noi cristiani crediamo nella logica della carità, che ci interpella in ogni ambito della vita, anche in quello del lavoro, che non è mai solo finalizzato a produrre utile, ma anche a garantire la pace sociale.
Cari fratelli e sorelle, la carità che si fa concreta solidarietà diventi luce e forza al cammino del mondo: il futuro della solidarietà nella Regione Sardegna sta quindi anche nelle vostre mani. Nel porgervi sin d’ora l’augurio di un Santo Natale, vi affido alla materna protezione della Vergine Maria, che ha cooperato con la sua disponibilità al disegno d’amore di Dio per l’umanità, affinché possiate collaborare insieme alla volontà del Signore, e cioè alla pace e alla prosperità per tutti.